O del perché una palestra da sola non basta a creare una nuova abitudine
L’abitudine è l’abitudine, e nessun uomo può buttarla dalla finestra; se mai la si può sospingere giù per le scale, un gradino alla volta. (Mark Twain)
Ho provato così tanti tipi di yoga che praticamente ho imparato il sanscrito. (Anonimo livornese)
Alcuni studi di scienze del comportamento hanno concluso che fino al 45% delle attività e dei compiti che intraprendiamo ogni giorno sono in realtà abitudini. Una volta formate, diventano una “seconda natura”: romperle o modificarle può essere quasi impossibile. Quasi.
Neurologia dell’abitudine
I comportamenti abitudinari vengono controllati da un’area molto profonda del nostro cervello all’interno del sistema limbico, un’area cerebrale “preistorica” e restia al cambiamento. Se prima di compiere un’azione ci chiediamo “come si fa?” oppure “voglio fare questa cosa?” stiamo invece usando un’altra parte del cervello, all’interno della corteccia cerebrale: è qui che elaboriamo i nostri comportamenti volontari.
Quando proviamo ad agire direttamente sul nostro comportamento inserendo delle novità “strutturali” – come ad esempio smettere di fumare o fare attività fisica con costanza – la nostra unica speranza è di riuscire a far “affondare” la novità dalla corteccia fin verso il sistema limbico dove potrà finalmente cristallizzarsi in un’abitudine.
Anatomia del come creare una nuova abitudine
Ci sono tre condizioni indispensabili per creare una nuova abitudine: la ricompensa, la ripetizione e lo spunto dato dall’ambiente.
Ricompensa
Possiamo essere motivati a ripetere un comportamento se crediamo che otterremo una qualche forma di ricompensa. Semplicemente non esistono altri modi per fissare un comportamento in un’abitudine – quando cioè la ricompensa non sarà più necessaria. Siamo motivati da molti diversi tipi di ricompense: esplicite e implicite, consce e inconsce, fisiche / fisiologiche o intellettuali / emotive, a breve o lungo termine, una tantum o accumulate nel tempo.
Ripetizione
Quanto tempo ci vuole perché non ci sia più bisogno della ricompensa e il comportamento diventi un’abitudine? Uno studio del 2009 ha rilevato che ci sono voluti tra 18 e 254 giorni per incorporare una nuova abitudine salutare nell’alimentazione o nell’attività fisica, con un tempo medio di 66 giorni. E questo presuppone che l’attività nuova venga eseguita regolarmente, ogni giorno o almeno alcune volte alla settimana.
Lo spunto e l’ambiente
Quando non abbiamo più bisogno di una ricompensa ci basta uno spunto dall’ambiente per ricordare cosa fare in quel determinato momento/contesto. Ho finito di mangiare? Prendo il caffè. Parlo al telefono? Mi mordicchio le labbra mentre ascolto. Beh, ognuno ha le sue abitudini… Il fatto è che quando lo spunto si ripete a lungo in un ambiente stabile e coerente – ad es. quando siamo nello stesso posto alla stessa ora del giorno – abbiamo maggiori probabilità di attuare un comportamento particolare, incorporando profondamente un’abitudine.
Il cambiamento di abitudini sul luogo di lavoro
Il luogo di lavoro è quasi sempre un ambiente stabile e coerente e per questo è un formidabile ambiente di creazione di abitudini. Se lo è in negativo – ad es. posture scorrette di fronte allo schermo – lo può essere anche in positivo. Ancorare una buona pratica nella quotidianità lavorativa significa avere la certezza che lo spunto si ripresenterà molto spesso in quei fatidici 66 giorni, aiutando l’instaurarsi di un’abitudine. Semplice a dirsi…
Alcuni psicologi hanno proposto 6 regole da tenere a mente nel progettare un cambiamento di abitudini:
1. Creare un ambiente stabile che promuova il nuovo comportamento
2. Sfruttare il contesto
3. Rendere le cose semplici
4. Sviluppare spunti e ricompense
5. Fare pratica e ripetere
6. Dare significato e motivazione
Un esempio: la palestra in azienda
Proviamo a fare un esempio pratico: la palestra in azienda come strumento per la promozione di abitudini all’esercizio fisico.
Per promuovere il benessere dei propri dipendenti un’azienda decide di creare una piccola palestra interna. Proviamo a vedere se e quanto rispetti le 6 regole di cui abbiamo appena parlato.
- Crea un ambiente facilitante? Sì, la palestra è un luogo dove fare esercizio fisico
- Sfrutta il contesto? Dipende: talvolta la palestra è posizionata dove c’è posto, non dove vorrebbero coloro che dovrebbero usarla. Inoltre, non tutti amano andare in palestra: il contesto non è solo materiale ma anche culturale!
- Rende le cose semplici? Per lo più sì, anche se per un novizio con qualche problema articolare una palestra senza trainer può diventare una specie di giungla o peggio…
- Sviluppa spunti e ricompense? No
- Implica fare pratica e ripetere? No. È tutto delegato al lavoratore: in sé la presenza di una palestra non assicura che verrà usata.
- Dà significato e motivazione? No
Con un punteggio di 3 (o meno) su 6, notiamo che la palestra può rappresentare un buon punto di partenza, ma da sola non basta a raggiungere il risultato di promuovere salute sul luogo di lavoro. Questo ci aiuta anche a capire meglio perché molti percorsi di promozione della salute sul luogo di lavoro danno magri risultati nella promozione di attività fisica: in sostanza, laddove c’è molta delega ai beneficiari di questi percorsi e poca guida (ad es. palestra, campo sportivo, camminate, ecc.), si mettono in piedi delle possibilità ma si rischia di tralasciare tutto l’aspetto motivazionale (ovvero “sfruttare il contesto” e “dare significato e motivazione”) e neurologico (“sviluppare spunti” e “fare pratica e ripetere”) dello sviluppo di una nuova abitudine.
Ma la palestra è un’idea sbagliata?
No, tutt’altro! È una buona idea, che però ha bisogno di altro per avere un reale impatto. Pensiamo ad una formazione che insegni non solo come fare gli esercizi praticandoli (learning by doing) ma che fornisca in modo semplice anche le informazioni necessarie per capire come funziona il proprio corpo, una conoscenza che poi servirà ad ognuno per costruire le proprie ricompense personali. Pensiamo anche alla possibilità di imparare microginnastiche che possano essere praticate mentre si lavora e non solo in palestra (sfruttare il contesto). Naturalmente, tutto ha maggiori probabilità di successo se viene sviluppato insieme ai beneficiari, alcuni dei quali potrebbero diventare dei motivatori per gli altri. Ops… sono tutti servizi che offriamo noi! 🙂
E nella tua azienda? Che tipo di interventi sono stati fatti per promuovere l’adozione di nuovi comportamenti per la salute dei lavoratori? Prova a “misurarli” sulle 6 regole: che probabilità hanno di avere successo nel lungo periodo? Se vuoi parlarne con noi scrivici a info@eukinetica.it.
Pierpaolo Di Carlo
Research & Development Eukinetica
pierpaolo.dicarlo@eukinetica.it
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Opere consultate per la scrittura di questo post:
- Lally P, van Jaarsveld CHM, Potts HWW, Wardle J. 2010. How are habits formed: modelling habit formation in the real world. Euro J Soc Psychol 40:998–1009.
- Neal DT, Vujcic J, Hernandez O, Wood W. 2015. The science of habit: creating disruptive and sticky behavior change in handwashing behavior. Catalyst behavioral sciences and USAID.
- Wood W, Quinn JM, & Kashy D. 2002. Habits in everyday life: Thought, emotion, and action. J Pers and Soc Psychol, 83: 1281–1297.
- Wood W & Neal DT. 2007. A New Look at Habits and the Habit–Goal Interface. Psychol Rev 114, 4: 843–863.