I segreti per il successo dei programmi di Workplace Health Promotion

23 Gen 2018

Tempo di lettura: 6 minuti

I segreti per il successo dei programmi di Workplace Health Promotion

Delega vs. guida nei percorsi di promozione dell’attività fisica

Da qualche settimana il team di Eukinetica ha intrapreso una ricerca sull’impatto degli interventi di promozione della salute nei luoghi di lavoro, un tema che ci accompagnerà nel corso di quest’anno. Il 17 gennaio scorso siamo stati tra i partecipanti al workshop “+WHP x moltiplicare salute” – organizzato dall’ATS Città Metropolitana di Milano – e questo ci ha stimolato ad occuparci dei programmi di Workplace Health Promotion (WHP) promossi da alcune Regioni italiane tra cui Lombardia, Piemonte, Lazio e Toscana. Se non sai cosa è il WHP leggi qui.
Ci sono due caratteristiche che distinguono i programmi WHP regionali:

  • prevedono interventi sostenibili e quindi strutturali, non una tantum;
  • gli interventi devono essere effettuati su sei aree tematiche: alimentazione, fumo, attività fisica, dipendenze, sicurezza stradale e conciliazione vita-lavoro.

Visto che ci chiamiamo Eukinetica, in questo post ci concentriamo sugli interventi nell’area della promozione dell’attività fisica: qual è il loro impatto? Cosa li rende più o meno efficaci?

I programmi WHP: cosa funziona di più e cosa meno.

Abbiamo consultato uno dei pochissimi studi esistenti sulla reale efficacia dei programmi regionali di WHP in Italia eseguito da Cremaschini e colleghi su un campione di 881 lavoratori di 10 aziende della provincia di Bergamo. Gli autori hanno somministrato due questionari di autovalutazione ai destinatari di programmi WHP: uno prima dell’inizio del programma e uno a distanza di 12 mesi. Cosa è emerso?

L’alimentazione e il contrasto al fumo sono le due aree tematiche nelle quali sono stati raggiunti i migliori risultati (+10% e +6% rispettivamente) mentre, come riconoscono gli autori stessi, la variazione per quel che riguarda l’attività fisica non è statisticamente significativa. Altrimenti detto: il programma non ha avuto un impatto tangibile sulla promozione dell’attività fisica. In cosa consisteva il programma? Le aziende dovevano scegliere due interventi tra questi:

  1. Possibilità di svolgere attività fisica all’interno dell’azienda (palestra, percorso jogging, campi da calcetto, pallavolo, tennis…)
  2. Promozione dell’uso della bicicletta negli spostamenti casa-lavoro
  3. Convenzioni o incentivi premiali con centri sportivi e negozi di attrezzature sportive
  4. Distribuzione di contapassi e monitoraggio volontario dell’attività fisica
  5. Iniziative sportive interne (almeno 2 all’anno)
  6. Organizzazione gruppi di cammino
  7. Attività diversa dalle precedenti approvata dall’ATS territoriale.

[vc_separator type=’transparent’ position=’center’ color=” thickness=” up=’5′ down=’5′]Stando ai risultati di Cremaschini e colleghi, quindi, nessuna di queste iniziative ha centrato l’obiettivo di motivare i dipendenti a fare più attività fisica a un anno dall’inizio del programma. Ci vuole solo più tempo? O c’è qualche riflessione che possiamo fare?

Cambiare abitudini è una sfida

Promuovere l’attività fisica significa stimolare un cambiamento di abitudini. L’obiettivo è nobile ma anche molto ambizioso… Il mancato successo dei programmi WHP bergamaschi su questo tema è tutt’altro che un caso isolato, come ci confermano i numerosi studi internazionali dedicati a questo difficile aspetto della promozione della salute nei luoghi di lavoro (vai alla nostra bibliografia). Ma cos’ha reso efficaci quelli che ci sono riusciti?

Un esempio finlandese

In uno studio del 2002 (Nurminen et al.) sono state osservate 260 lavoratrici di lavanderie industriali (lavori fisicamente pesanti): metà di queste hanno seguito il programma di promozione dell’attività fisica, metà no. Il programma prevedeva:

  • una consulenza individuale finalizzata a dare ad ognuna delle lavoratrici alcuni suggerimenti per fare esercizi fisici mirati in autonomia;
  • sessioni pratiche di gruppo un’ora alla settimana per 8 mesi (26 sessioni totali) sotto la guida di un professionista.

Risultato? Le problematiche muscolo-scheletriche sono diminuite di circa il 9% nelle lavoratrici che hanno partecipato al programma.
Dunque un risultato positivo, anche se contenuto: questo ci fa pensare che le lavoratrici non abbiano aumentato l’attività fisica in autonomia e che il risultato sia stato raggiunto principalmente grazie all’ora settimanale di esercizio guidato in contesto lavorativo.

Un esempio olandese

Per circa 100 dipendenti del comune di Enschede, invece, il programma prevedeva ben 7 consulenze personalizzate di 20 minuti ciascuna nell’arco di 9 mesi effettuate da un trainer sportivo, senza sessioni pratiche di gruppo (Proper et al. 2004). Ebbene, nell’anno successivo all’intervento, le assenze per malattia dei partecipanti al programma si sono ridotte al punto da significare un guadagno economico notevole per il comune: per ogni partecipante sono stati spesi €430 per le 7 consulenze e, nell’anno successivo, sono stati risparmiati €635 grazie alla maggiore produttività (minori assenze).

Cos’è successo quindi ad Enschede? Le 7 consulenze personalizzate hanno fornito ai lavoratori gli strumenti e le motivazioni necessari per cambiare abitudini in modo autonomo. Va però detto che l’investimento è stato sostanzioso: all’incirca €43.000 per 100 dipendenti…

Quindi?

Per fare ordine immaginiamo di collocare ogni intervento in un punto specifico su una linea immaginaria come questa:

Figura 1. Il continuum delega-guida e l’impatto.

Nel caso finlandese, la consulenza una tantum è vicina all’estremo “delega”, mentre gli esercizi di gruppo sul luogo di lavoro sono all’estremo “guida”. Tuttavia un’ora di pratica a settimana è troppo poco: questo sposta gli esercizi verso la delega poiché il senso dell’intervento è che si spera che le persone facciano altre sessioni nel tempo libero, cosa che pare non essere successa.

Figura 2. Il caso finlandese

Il caso olandese è invece tutto spostato verso l’estremo “guida” poiché le consulenze individuali sono ripetute a cadenza quasi mensile: ogni partecipante non solo riceve strumenti per fare esercizi in autonomia, ma è monitorato e stimolato continuamente.

Figura 3. Il caso olandese

Questa chiave ci aiuta a capire meglio anche i risultati del WHP bergamasco? Sembra proprio di sì. Il mancato impatto nella promozione dell’attività fisica è probabilmente dovuto al fatto che gli interventi proposti sono tutti più o meno vicini all’estremo “delega”: dare la possibilità ai lavoratori di fare palestra o praticare uno sport (dentro o fuori l’azienda) è forse più “delega” della distribuzione del contapassi o dell’organizzazione di tornei aziendali, entrambi potenzialmente più engaging, ma sono tutti privi di una vera e propria guida dei partecipanti da parte di un esperto.

C’è quindi una costante in tutti questi interventi: più i partecipanti sono guidati nel percorso, più l’intervento è efficace. Al contrario, più l’intervento si affida alla delega ai partecipanti e meno esso è efficace. Intendiamoci: la guida non può andare avanti all’infinito ma è sicuramente il modo migliore per una prima fase dell’intervento, un traghettamento verso un cambio di abitudini. Da quel momento in poi si può gradualmente passare alla delega.

Una conclusione che ci porterà a discutere di tanto altro nei prossimi post. Se sei interessato ad approfondire l’efficacia dei benefit aziendali La ricerca continua…

Figura 4. Gli interventi discussi in Cremaschini et al. 2015.

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Questi sono i lavori che abbiamo consultato nella scrittura di questo post

● Cancelliere C, Cassidy JD, Ammendolia C, Côté P. Are workplace health promotion programs effective at improving presenteeism in workers? A systematic review and best evidence synthesis of the literature. BMC Public Health. 2011 May 26;11:395.
● Cremaschini M, Moretti R, Brembilla G, Valoti M, Sarnataro F, Spada P, Mologni G, Franchin D, Antonioli L, Parodi D, Barbaglio G, Masanotti G, Fiandri R. Stima dell’effetto ad un anno di un programma di promozione della salute nei luoghi di lavoro in provincia di Bergamo. Med Lav. 2015 Maggio 4;106(3):159-71.
● Goetzel RZ, Pronk NP. Worksite health promotion: how much do we really know about what works? Am J Prev Med. 2010 Feb;38(2 Suppl):S223-5.
● Nurminen E, Malmivaara A, Ilmarinen J, Ylöstalo P, Mutanen P, Ahonen G, Aro T. Effectiveness of a worksite exercise program with respect to perceived work ability and sick leaves among women with physical work. Scand J Work Environ Health. 2002 Apr;28(2):85-93.
● Proper KI, Koning M, van der Beek AJ, Hildebrandt VH, Bosscher RJ, van Mechelen W. The effectiveness of worksite physical activity programs on physical activity, physical fitness, and health. Clin J Sport Med. 2003 Mar;13(2):106-17.
● Proper KI, de Bruyne MC, Hildebrandt VH, van der Beek AJ, Meerding WJ, van Mechelen W. Costs, benefits and effectiveness of worksite physical activity counseling from the employer’s perspective. Scand J Work Environ Health. 2004 Feb;30(1):36-46.
● Soler RE, Leeks KD, Razi S, Hopkins DP, Griffith M, Aten A, Chattopadhyay SK, Smith SC, Habarta N, Goetzel RZ, Pronk NP, Richling DE, Bauer DR, Buchanan LR, Florence CS, Koonin L, MacLean D, Rosenthal A, Matson Koffman D, Grizzell JV, Walker AM. Task Force on Community Preventive Services. A systematic review of selected interventions for worksite health promotion. The assessment of health risks with feedback. Am J Prev Med. 2010 Feb;38(2 Suppl):S237-62.
● World Health Organization, Burton J. 2010. WHO healthy workplace framework and model: background and supporting literature and practices. Ginevra: World Health Organization.

Pierpaolo Di Carlo

Research & Development Eukinetica

Scritto da admeuk


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