Il potere delle abitudini: come trasformarle da potenziali interferenze a valide alleate

25 Giu 2024

Tempo di lettura: 11 minuti

Il potere delle abitudini: come trasformarle da potenziali interferenze a valide alleate

Secondo la definizione estrapolata dal vocabolario Treccani, abitudine è “la tendenza a ripetere una determinata azione, a rinnovare una determinata esperienza; si acquisisce per lo più con la ripetizione frequente dell’azione o dell’esperienza stessa”. È interessante anche il secondo significato riportato “fare l’abitudine a qualcosa significa che arriviamo a non avvertire più gli effetti piacevoli o spiacevoli che siano, per esempio, un rumore”.

Quindi il ripetersi di un’azione, mentale o motoria che sia, per un periodo significativamente lungo, determina che questa venga svolta con disinvoltura e con maggior coordinazione dei movimenti. Questo comporta l’automaticità del comportamento, ovvero l’efficienza, la mancanza di consapevolezza, la non intenzionalità, l’incontrollabilità dello stesso.

A seguito di una ricerca sui topi effettuata dal Massachussets Institute of Technology negli anni Novanta del Novecento, vennero identificate tre fasi delle abitudini: segnale, rituale e gratificazione. Lo svolgimento di un’azione, una routine, per ottenere una ricompensa allo stimolo di un segnale. Da qui emerse come la gratificazione alimenti il ciclo a tal punto da rendere inconsapevole l’individuo del segnale che innesca l’automatismo. Questo ciclo dell’abitudine venne denominato Habit Loop.

Oggigiorno si parla molto di abitudini, soprattutto di quelle disfunzionali, perché impattano negativamente sulla salute psicofisica delle persone. È bene sapere che anch’essa è una medaglia con due facce, interferenza o alleata, e che sta all’individuo determinare a quale delle due dare risalto.

Alcune ricerche ritengono che per installare un’abitudine ci voglia un tempo stimato tra i 21 e i 66 giorni di ripetizione costante di una data azione. Attraverso una giusta motivazione e una forza di volontà incrollabile si ha la concreta possibilità di sradicarne una disfunzionale per installarne una virtuosa, che alimenti il benessere psicofisico della persona.

Leggendo questo articolo conoscerai:

  • Come dare nuova interpretazione al termine abitudine
  • I bisogni primari di sopravvivenza dell’organismo
  • Perché è difficile mettere a frutto i buoni propositi di fine anno
  • Come è fatto il cervello, come funziona e cosa rappresenta l’abitudine per esso
  • Strategie per smantellare le malsane abitudini in favore di altre virtuose

Il significato di abitudine

In latino Habitudo è un termine neutro che significa tendenza a ripetere determinati atti, non necessariamente con un’accezione negativa. Quindi perché dare tanto risalto alla faccia della medaglia disfunzionale dell’abitudine anziché a quella che può venirci in soccorso?

Forse perché nell’indole dell’uomo è insito il lasciarsi andare ad abitudini malsane, i vizi, che minano la salute e la felicità dell’individuo. Pertanto, è più frequente sentir parlare di cattive abitudini.

Le abitudini decidono la vita dell’individuo. Quelle malsane sono una sorta di veleno a lento rilascio che non producono effetti acuti nell’immediato e che modificano la biochimica dell’organismo nel medio e lungo periodo, comportando uno scadimento della salute psicofisica.

Quelle sane, invece, hanno il potere di mantenere l’organismo in una condizione di salute duratura e non sono frutto di rinunce e sacrifici come spesso viene ritenuto, bensì rappresentano il rispetto di quelli che sono i bisogni primari di sopravvivenza dell’organismo.

I bisogni primari di sopravvivenza dell’organismo

Salvo casi rari, si nasce in salute. Il soddisfacimento dei bisogni primari di sopravvivenza nei tempi e nelle modalità adeguate consente di tutelare nel tempo il tesoro che ci viene dato in dotazione alla nascita.

Quelli universalmente conosciuti sono: respirare, bere, mangiare, dormire, muoversi e scaricarsi, ai quali sento doveroso aggiungere la necessità di proteggere l’organismo dal dolore (dato che condiziona fortemente tutti gli altri bisogni) e l’elasticità muscolare (poiché la sua dispersione comporta l’irrigidimento muscolare e, di conseguenza, l’esposizione alla sofferenza di dolori articolari). Hai notato che tutti gli animali, tra tutti cani e gatti che vivono frequentemente con l’uomo, dopo ogni pausa motoria si stirano? Bene, lo fanno perché rispondono a un istinto che guida a conservare l’elasticità dei muscoli per garantirsi una funzione ottimale.

Ad eccezione del respiro, che è gestito da sistema nervoso autonomo (SNA) per la quasi totalità (infatti, se ti chiedessi ora di trattenere il respiro, potresti farlo per un tempo limitato, poi dovresti ridare le redini del suo controllo a SNA) e in parte la protezione dal dolore, che viene in primissima battuta gestita dall’organismo stesso producendo endorfine (che riducono l’intensità del dolore) e trovando nuovi equilibri posturali per tentare di “nasconderlo”, gli altri bisogni sono tutti accomunati dalla volontà dell’individuo.

Infatti l’organismo invia un segnale (sete, fame, sonno e simili) che richiama la nostra attenzione affinché il bisogno venga soddisfatto nei tempi e modalità utili al mantenimento di uno stato di equilibrio l’organismo. Immagino, per esempio, che ti sia capitato di trattenere la pipì perché impegnato/a a fare altro, o di non andare subito a dormire per voler vedere la fine di un film, giusto?

Queste tendenze arrecano stress organico e nel tempo, se questi comportamenti sono la consuetudine, lo scadimento progressivo della salute. Essere in connessione con i bisogni dell’organismo e assumersi la responsabilità di soddisfarli, è rappresentativo di sane abitudini.

Mangiare sano, essere ben idratati, correttamente allenati, soddisfare il bisogno di riposo del corpo, unitamente a una buona qualità delle relazioni sociali, garantisce una corretta biochimica.

In molti casi i bisogni della mente (come abitudini, sfide, credenze, convinzioni, gratificazioni) interferiscono e prendono il sopravvento sui bisogni del corpo. Ecco allora che si rende necessario accorgersi di uno squilibrio interno per poter apportare un cambiamento nella personale quotidianità. Di solito questo avviene verso la fine dell’anno con i buoni propositi per l’anno nuovo che, solitamente, sono tutti espressi verso il miglioramento della salute (“giuro che dal 1° gennaio mi iscriverò in palestra”, “che smetterò di fumare”, “che mi metterò a dieta”…).

Perché i buoni propositi di fine anno falliscono?

Per mettere in pratica i buoni propositi ci vuole energia e, in molti casi, a fine anno si arriva spompati. La vita frenetica mette a dura prova per mancanza di tempo da dedicare a sé stessi per soddisfare adeguatamente i bisogni primari di sopravvivenza, primi fra tutti il riposo, l’alimentazione e il movimento che rappresentano i cardini principali del recupero di energie.

Il riposo perché dormendo bene si permette al corpo di ricaricare le pile per il giorno successivo; l’alimentazione perché ci fornisce energia attraverso gli alimenti e il movimento perché evita il ristagno delle tossine organiche, oltre che l’irrigidimento della muscolatura, fattori che incidono parecchio sul dispendio energetico.

E se non si ha la giusta energia per fare qualcosa di diverso da ciò che si è sempre fatto per abitudine, le abitudini continueranno a dettare legge per soddisfare il principio di risparmio energetico a cui l’organismo risponde in modo innato.

Ecco allora che, anche per quest’anno, il buon proposito verrà riproposto l’anno successivo.

Com’è fatto il cervello e come funziona

Dal punto di vista anatomico il cervello è l’organo del corpo che consuma maggiori quantità di energia nonostante rappresenti il 2% della massa corporea. Il suo dispendio energetico è stato calcolato attorno al 25% di quello complessivo. L’attività principale del cervello è quella di produrre pensieri e, come detto in precedenza, questo implica un enorme consumo di energia.

Ecco perché per lui ha poca rilevanza se un’abitudine è in grado di proteggerci o di danneggiarci: esegue in automatico ciò che facciamo più spesso. L’importante è consumare il meno possibile.

Le routine fanno parte della nostra vita, dal momento in cui ci svegliamo fino a quando si torna a casa per preparaci ad andare a dormire. Il cervello adora trasformare ogni nostra attività in routine, perché pensare costa fatica. Più dell’80% delle azioni quotidiane, infatti, vengono svolte automaticamente.

Quando intraprendiamo il processo di apprendimento di qualcosa di nuovo viene stimolata la corteccia cerebrale deputata proprio al processo dell’apprendimento. Attraverso la ripetizione la novità viene inviata ai gangli posti alla base degli emisferi cerebrali e, una volta giunta in sede, viene fissata in modo permanente. Ecco perché le vecchie abitudini sono difficile da smantellare.

Ti è mai capitato, alla guida dell’auto, di evitare strade nuove che ti suggerisce il navigatore per raggiungere una meta che già conosci in minor tempo per evitare di dover prestare attenzione a nuove indicazioni che richiederebbero maggiore impegno ed energia?

In un certo senso, il cervello è refrattario al cambiamento perché quest’ultimo presuppone un dispendio energetico che non collima con il bisogno di risparmiare energia. Tutto questo ha senso dal punto di vista neurobiologico ed è utile alla sopravvivenza, ma a volte può risultare dannoso, come nel caso delle cattive abitudini.

Per certi aspetti, le abitudini rappresentano il sistema di risparmio energetico più efficace. Ecco perché per smantellare quelle malsane ci vuole autodisciplina, forza di volontà, motivazione, impegno, allenamento costante e un gran supporto di energia.


Strategie per smantellare malsane abitudini in favore di altre virtuose

Come detto all’inizio, l’abitudine di per sé è un concetto neutro. Sta alla persona indirizzare il proprio focus in direzione del lato della medaglia più conveniente. A cosa affidarsi per uscire dal circolo vizioso delle abitudini malsane?

Affidarsi al vecchio sistema prescrittivo e impositivo (“per tornare in forma devi fare X”) non dà garanzia di successo. È meglio fare leva sul principio della consapevolezza che certi aspetti della salute non sono delegabili e che rappresentano una straordinaria opportunità, per il diretto interessato, per poter intervenire efficacemente sulla propria salute.


Fare perno sulla personale motivazione già esistente, che si esprime attraverso i buoni propositi di fine anno, può risultare la leva più potente in assoluto.

La questione è: come trovare l’energia necessaria per affrontare un cambiamento?

Per arrivare a traguardo è importante conoscere quelli che sono i principali ostacoli al cambiamento: la mancanza di sonno, la fretta nell’ottenere risultati, cambiare troppe abitudini contemporaneamente, il perfezionismo e il gradiente non commisurato. Analizziamoli a uno a uno.

La mancanza di riposo

Come approfondiamo nel nostro corso dedicato alla tutela del sonno e ai ritmi circadiani, insufficienti ore di riposo e una qualità scadente del riposo notturno spalancano le porte all’insuccesso. Una carenza del sonno o una sua irregolarità nel ritmo (sonno leggero e profondo) espone al rischio di insorgenza di malattie e, prima ancora, a deficit di energia utile ad affrontare il cambiamento, dato che dormire è, tra i bisogni primari, quello che consente il più rapido ed efficace recupero energetico.

I nemici del buon riposo, verso i quali possiamo avere un diretto controllo, sono:

  • Cenare tardi e con quantità di cibo non adeguate a essere digerite nei tempi ideali. Per l’organismo la digestione è prioritaria rispetto al sonno, quando viene attivata non può essere messa in pausa e condiziona profondamente la qualità del riposo. Con la digestione in atto, non è possibile accedere agli stadi di sonno profondo che garantiscono un adeguato recupero energetico ma, soprattutto, il processo digestivo richiede un dispendio di energia. Ciò comporterà la possibilità di svegliarsi la mattina con la sensazione di essere più stanchi rispetto a quando ci si è coricati.
  • Consumare sostanze nervine (come caffè, tè, bevande energetiche, cioccolato fondente, tabacco, vino, birra, alcolici in genere) che permangono nel circolo ematico fino a 10 ore e condizionano la qualità del riposo. Nello specifico l’alcool dapprima svolge una rapida azione sedativa che favorisce il sonno ma al contempo, nel giro di poco, lascia anche in eredità una condizione di ipereccitabilità tipica delle crisi di astinenza e, quindi, tenderà a farci svegliare.
  • Esposizione alla luce blu di dispositivi come smartphone, TV, computer, tablet fino a pochi istanti prima di andare a dormire. La melanopsina (fotorecettore posto sulla retina dell’occhio) e l’ipotalamo (struttura del sistema nervoso centrale che regola diverse funzioni vitali del corpo attraverso il rilascio di determinati ormoni) non hanno la capacità di differenziare la luce solare da quella artificiale e, nel caso di utilizzo di tali dispositivi fino a tarda ora, viene condizionata la produzione melatonina. Questo ormone svolge un ruolo essenziale nella fisiologia del sonno e la sua maggiore produzione avviene in presenza del buio: le fonti di luce la ostacolano fortemente. Se proprio non riesci a fare a meno di usare questi dispositivi, ti suggerisco di attivare la funzione “night shift” che commuta la luce blu di default a luce calda simile a quelle delle ore crepuscolari della giornata. Se puoi, interrompi l’uso di questi dispositivi almeno un’ora prima di coricarti.
  • La temperatura della stanza dovrebbe essere attorno ai 18/19 gradi. Il troppo caldo e troppo freddo condiziona la possibilità di dormire profondamente, generando agitazione.
  • La stanza in cui si dorme non dovrebbe ospitare altro che l’essenziale per dormire. Scrivanie, televisore, computer favoriscono un legame con attività che non conciliano il sonno.
  • Svolgere attività fisica intensa dal tardo pomeriggio in avanti non asseconda la necessità del calo della temperatura corporea che è una condizione importante per dormire bene. Il rialzo della temperatura che consegue dopo aver fatto attività fisica (come la corsa, la palestra, calcetto, tennis) richiede quasi due ore per abbassarsi. Inoltre, l’attività fisica intensa favorisce la produzione di endorfine che attivano molto l’attività cerebrale che impatta negativamente sul riposo di qualità. A fine giornata meglio prediligere attività come lo yoga, la meditazione, lo stretching e attività simili.

La fretta nell’ottenere risultati

La fretta costituisce un fattore che ostacola il cambiamento.


Caricarsi di aspettative eccessive in relazione al tempo impiegato potrebbe in breve tempo farci abbandonare l’intento iniziale. La fretta non consente la migliore pianificazione e, soprattutto, la connessione con sé stessi per ascoltare i feedback di mente e corpo nel percorso intrapreso. I feedback sono preziosi alleati che ci permettono di valutare se è necessario variare la strategia del cambiamento in atto.

La fretta è l’alleata migliore del sabotatore interno che, alle prime difficoltà, ci farà tornare sulla vecchia strada.

Le abitudini malsane si sono strutturate nel corso degli anni, e avere la presunzione di poter modificare tutto e subito può condurre all’insuccesso.

Un aspetto che ti suggerisco di tenere presente è legato all’eccitazione che si produce quando si ottengono i primi risultati del cambiamento intrapreso. Essa può spingere a voler accelerare il processo che, invece, è importante che rispetti la gradualità per permettere alle sane abitudini di mettere radici profonde e di produrre risultati duraturi.

Cambiare troppe abitudini contemporaneamente

Quando il cambiamento implica la sostituzione di più abitudini malsane, affrontarle tutte assieme può diventare fonte di stress e favorire l’azione del sabotatore interno. La trasformazione da sedentari in atleti, cambiare radicalmente il regime alimentare e diventare “cintura nera” di meditazione difficilmente può avvenire in un giorno e tutto assieme.

La prima grande conquista è il cambio di punto di vista mentale, al quale dovranno seguire piccoli e continui cambiamenti a livello della sedentarietà dedicandosi a camminate poco impegnative, che comunque stimoleranno l’autostima. Poi, a livello alimentare, introducendo piccole ma continue variazioni nel proprio regime e dedicarsi, quindi, del tempo di qualità per riposare, meditare, fare attività che riportino verso il miglior equilibrio interno.

Il perfezionismo

Questo fattore è quello che potenzialmente nasconde le maggiori insidie, perché se tutto non è in linea con le nostre aspettative viene vissuto come un fallimento. Avere alte aspettative induce a non contemplare possibili cedimenti e, questo attiva facilmente il sabotatore interno.

In un processo di cambiamento di abitudini malsane che si sono strutturate nel tempo, è pressoché inevitabile che si cada in tentazioni. Fa parte della nostra natura imperfetta e le cadute, se vissute come errori e non come esperienze, ci faranno desistere.

Le persone di successo non rappresentano tanto qualcuno che ha tanti soldi e fama, rappresentano soprattutto persone che hanno saputo far succedere ciò che volevano nel profondo. In quest’ottica non esiste l’insuccesso ma il successo non voluto.

Se Edison non avesse avuto questo punto di vista, gli errori commessi per inventare la lampadina non gli avrebbero tracciato la strada per capire come inventala. Lui stesso disse: “Io non ho fallito duemila volte nel fare una lampadina; ogni volta che ottenevo un risultato non voluto semplicemente capivo come non andava fatta una lampadina”.

L’errore non è un fallimento ma un prezioso insegnamento che permetterà di mettere meglio a fuoco il proprio obiettivo.

Gradiente commisurato

Questo fattore ci aiuta a non fare il passo più lungo della gamba e va a braccetto con la fretta. I due assieme attivano facilmente il sabotatore interno. Se ho speso una vita nella sedentarietà, non potrò pretendere di correre 10 km il primo giorno in cui mi decido a cambiare abitudini.

Il sovrallenamento non tiene conto della giusta gradualità di cui il corpo ha bisogno per uscire da una condizione che non favorisce il benessere naturale e, soprattutto, genera sofferenza che spesso porta a desistere dagli obiettivi prefissati; camminare o correre di per sé non è difficile, è alla portata di tutti. Il difficile è diventare quel tipo di persona che lo fa regolarmente per tenersi in salute.

Conclusione

Cambiare si può.

La vita è un percorso che prevede il cambiamento. Non si può pensare di vivere sempre allo stesso modo, anche se alcuni lo fanno.

L’evoluzione contiene in sé il cambiamento, la crescita attraverso l’esperienza che ci dà la possibilità di imparare e decidere se continuare o meno sulla stessa strada.

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Articolo a cura di Giovanni Castellani, Master Traine& Training Trainer Partner di Eukinetica.

Scritto da Eukinetica Staff


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