Sono diversi anni ormai che il wellbeing dei lavoratori è sotto la lente d’ingrandimento. In tutto il mondo stanno diventando sempre più numerose le aziende che ne comprendono l’importanza e che introducono programmi di corporate wellbeing per il benessere fisico e mentale delle risorse umane.
A questo punto diventa spontaneo chiedersi: come stanno andando i programmi aziendali di wellbeing? È la domanda che si è posto anche un ricercatore di Oxford che, con il suo studio pubblicato sull’Industrial Relations Journal, ha misurato l’effetto degli interventi più diffusi specificatamente sulla salute mentale sul posto di lavoro.
I risultati sorprendono, soprattutto chi ha sempre creduto che la soluzione definitiva al wellbeing dei dipendenti fosse legata del tutto ai programmi che intervengono per migliorare quasi esclusivamente il benessere mentale del dipendente. Continua a leggere per scoprire di più.
In questo articolo parliamo di:
- Lo studio “Risultati del benessere dei dipendenti derivanti da interventi sulla salute mentale a livello individuale: evidenze trasversali dal Regno Unito”
- Il work-life balance come priorità tra i lavoratori
- Le proposte di Eukinetica per un wellbeing globale
Lo studio “Risultati del benessere dei dipendenti derivanti da interventi sulla salute mentale a livello individuale: evidenze trasversali dal Regno Unito”
I servizi legati alla salute mentale dei lavoratori oggi fanno parte di un business mondiale milionario: seminari sull’auto-consapevolezza, corsi di mindfulness, app per il sonno e altri programmi simili dopo l’esperienza del Covid sono entrati a far parte dell’offerta di servizi di numerose aziende in tutto il mondo per garantire ai propri dipendenti alti standard di salute mentale.
Nulla di male in tutto questo, anzi: come avevamo avuto modo di vedere anche noi, la crescente importanza che oggi viene conferita ai programmi di salute mentale rappresenta una svolta nel modo in cui le aziende si prendono cura del benessere dei propri lavoratori, dentro e fuori dagli uffici.
Eppure tutto questo sembra essere necessario ma non sufficiente. Lo studio portato avanti da William J. Fleming, ricercatore del Wellbeing Research Centre di Oxford, ha osservato i comportamenti e le risposte di 46.336 lavoratori in 233 luoghi di lavoro nel Regno Unito riguardo a circa 90 diversi tipi di programmi volti a promuovere il benessere, tra cui corsi di mindfulness, massaggi, formazione sulla gestione del tempo, coaching sulla salute mentale e app che supportano un miglioramento del sonno e dei cambiamenti dello stile di vita.
Sulla base dei risultati ottenuti, Fleming ha dedotto che non vi era quasi nessuna correlazione tra la partecipazione dei dipendenti, il disagio psicologico e la percezione dei fattori dell’ambiente lavorativo come la collaborazione e l’appartenenza. I programmi di salute mentale, insomma, non avevano incrementato il loro benessere sul lavoro: le persone che vi aderivano non stavano meglio dei colleghi che non lo facevano.
L’unica eccezione ha riguardato il tempo speso in volontariato o in attività di beneficienza, secondo programmi messi a disposizione dalle aziende: i dipendenti che li hanno seguiti sembra abbiano migliorato il proprio wellbeing.
Una delle conclusioni a cui è giunto lo studio è che i datori di lavoro preoccupati per la salute mentale dei lavoratori farebbero meglio a concentrarsi sulle “pratiche organizzative fondamentali” come orari, retribuzioni e revisioni delle prestazioni.
Dunque i programmi di salute mentali che finora hanno dato anche risultati positivi su singole realtà, sono tutti da cestinare? La risposta è no. Come altri ricercatori hanno evidenziato, lo studio del Dott. Fleming si è basato soprattutto su abbonamenti ad app (di mindfulness, per dormire meglio e simili).
Come riportato in un articolo del NY Times, Larissa Bartlett, ricercatrice dell’Università della Tasmania che ha progettato e insegnato programmi di consapevolezza, riguardo allo studio britannico ha spiegato che interventi “leggeri” come l’introduzione di app nella routine dei lavoratori, sono generalmente meno efficaci dei corsi individuali o di gruppo (come sono, per esempio, i corsi di formazione aziendale di Eukinetica). Anche questo potrebbe essere uno dei motivi che ha portato al medesimo risultato, in termini di stato di wellbeing, tra chi ha aderito alle iniziative prese in considerazione dallo studio del Dott. Fleming e chi invece no.
In secondo luogo, come spiegato dal NY Times, ci sono anche evidenze di programmi corporate di salute mentale portati avanti con successo. Uno studio del 2022 che ha monitorato 1.132 lavoratori negli Stati Uniti che hanno utilizzato Spring Health, una piattaforma che collega i dipendenti con servizi di salute mentale come terapie e gestione dei farmaci, ha rilevato che il 69,3% dei partecipanti ha mostrato un miglioramento della propria depressione. I partecipanti hanno anche perso meno giorni di lavoro e hanno riferito di aver ritrovato una maggiore produttività.
Lo studio britannico ha dunque dei limiti, ma anche il merito di portare alla luce due elementi degni di nota: l’influsso positivo portato dalle attività benefiche/di volontariato e la diretta correlazione tra lo star bene lavorando e l’equilibrio tra vita professionale e vita privata.
Il work-life balance come priorità tra i lavoratori
Qual è il miglior modo per garantire il benessere mentale dei propri dipendenti? Secondo lo studio del Dottor Fleming, e non solo, star bene mentalmente a lavoro vuol dire avere il giusto equilibrio tra tempo dedicato all’ambito professionale e tempo per la sfera personale.
Secondo quanto si legge nelle conclusioni dello studio, “le ricerche future dovrebbero valutare se gli interventi a livello individuale sono efficaci insieme al cambiamento organizzativo, o se miglioramenti nelle condizioni di lavoro siano un’alternativa migliore. […] Una combinazione di approcci potrebbe beneficiare i lavoratori, se implementata correttamente”.
Per citare una controprova, la ricerca “The Relationship Between Work-Life Balance and Well-Being Among Male Employees in South Korea: Moderating Effects of Gender Role Attitudes”, di Hyoung-June Park, Heejeong Choi, Sang-Ho Lee, esamina la relazione tra equilibrio tra vita lavorativa e personale e benessere tra i dipendenti maschi in Corea del Sud, con un focus sui possibili effetti moderatori delle attitudini di genere.
I risultati indicano che un maggiore equilibrio tra vita lavorativa e personale è associato a un maggiore benessere tra i dipendenti maschi. Tuttavia, questo legame è moderato dalle attitudini di genere, con un maggiore effetto positivo tra coloro che hanno atteggiamenti più progressisti verso i ruoli di genere. Lo studio sottolinea l’importanza di considerare le differenze di genere nelle politiche e nelle pratiche organizzative volte a migliorare l’equilibrio tra vita lavorativa e personale e il benessere dei dipendenti.
Il work-life balance è anche argomento di formazione di Eukinetica. Il nostro corso Il gioco dei ruoli ha l’obiettivo di trasmettere strumenti utili per gestire lo stress tra vita personale e vita professionale.
Le proposte di Eukinetica per un wellbeing globale
A nostro modo di vedere, il wellbeing del dipendente va considerato nella sua forma globale. È impossibile scindere il benessere mentale dal benessere fisico: entrambi gli aspetti sono tra loro interconnessi, e contribuiscono allo ‘star bene lavorando’ che rientra tra i valori di base di Eukinetica.
Per raggiungere questo obiettivo, effettuiamo sempre sopralluoghi, audit e visite approfondite presso la sede in cui verrà erogato il corso: questo ci consente di offrire corsi cuciti su misura sulle esigenze dei dipendenti, delle loro mansioni e dell’azienda in generale.
Crediamo che una formazione solida e strutturata possa dare gli strumenti fondamentali per migliorare la propria routine, acquisendo piccoli accorgimenti applicabili nel quotidiano per sentirsi bene sia sul posto di lavoro sia a casa.
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