Benefit aziendali, alcune sorprese e un punto fermo: la consapevolezza.
Il mondo dei benefit aziendali è in costante evoluzione. Tra le varie tendenze, quella di mettere al centro il benessere del lavoratore è sicuramente destinata a crescere. Ma attenzione: in superficie sembra solo esserci l’imbarazzo della scelta sulle diverse possibilità, ma se si va un po’ più a fondo si scopre che promuovere attività fisica o un’alimentazione sana può anche portare a conseguenze impreviste… Resta sempre una buona idea quella di investire sulla crescita personale dei lavoratori. Oggi parliamo della consapevolezza in campo alimentare.
Grafico da dati Google sulle ricerche web degli italiani dal 2004 al 2017 contenenti le parole “dieta” e “vacanza”.
Intercettare il bisogno di benessere: dimagrire?
Perché i benefit aziendali abbiano successo è necessario che rispondano ad un bisogno dei destinatari. Dimagrire e stare in forma, oltre che rispondere alle richieste delle varie istituzioni sanitarie allarmate per la crescita delle patologie croniche associate al sovrappeso,[note]Secondo l’ISTAT circa il 35% degli italiani sono sovrappeso, circa il 10% sono obesi e il trend non sembra essere destinato a migliorare. Ricordiamo poi che il Workplace Health Program mette alimentazione e attività fisica al centro delle buone pratiche richieste per ottenere il riconoscimento di “luogo di lavoro che promuove salute”.[/note] è sicuramente un bisogno della gran parte delle persone. Ce lo conferma anche il grafico qui sopra, che fotografa il trend delle ricerche online delle parole “dieta” e “vacanza” negli ultimi 14 anni. In sostanza, da qualche anno ci preoccupiamo sempre più di come staremo in costume che di dove andremo a passare le ferie…
Quindi un possibile benefit potrebbe essere quello di offrire programmi aziendali di dimagrimento? Certo che sì. Negli USA e nei Paesi scandinavi programmi del genere sono attivi da tempo ed esistono anche guide al calcolo del ROI per i programmi aziendali di perdita di peso.[note]Si veda ad esempio l’articolo “The ROI on Weight Loss at Work” sulla Harvard Business Review.[/note] E allora si fa una convenzione con una palestra e magari con un nutrizionista, si organizzano un paio di competizioni intra-aziendali e il gioco è fatto, facile no? Beh, non proprio…
La sindrome del benessere
In un recente libro dal titolo “The wellness syndrome”, i sociologi Carl Cederström and André Spicer fanno notare che in molti casi i programmi wellness sono inefficaci se non addirittura dannosi. Diversi studi, in particolare uno della Rand Corporation, hanno dimostrato ad esempio che i programmi aziendali di dimagrimento raggiungono risultati molto limitati, con una perdita di peso medio di circa mezzo chilo in un anno! Quel che però più preoccupa sono gli effetti collaterali di queste pressioni ad essere più in forma: molti di questi programmi hanno creato ansia ed insicurezza nei partecipanti. Sembra proprio che un benefit, se non ben pianificato, possa diventare un boomerang per l’azienda.
Voler essere più magri: non c’è solo il corpo
Ma perché mai andare in palestra o partecipare ad altri tipi di programmi wellness potrebbe creare problemi? Sappiamo tutti quante siano le pressioni, dirette e indirette, che riceviamo quotidianamente perché il nostro corpo sia snello, tonico e scattante. Se da un lato questo può essere fonte di motivazione a fare esercizio e mangiare meglio, dall’altro è una cattiva notizia per la nostra autostima e serenità. Da una ricerca inglese (Bould et al. 2018) è infatti emerso che essere esposti ad immagini di persone magre aumenta il grado di insoddisfazione per il proprio corpo anche se si è in forma, con le relative conseguenze psicologiche di insicurezze e ansie.
Ecco quindi dove sta il rischio di questi programmi di benefit: perché un determinato “programma wellness” sia vissuto in modo realmente proficuo c’è bisogno che la persona abbia una certa consapevolezza e autonomia. È sullo sviluppo di questa consapevolezza nei lavoratori che si gioca il successo dei programmi wellness del futuro.
Le diete intraprese dai dipendenti possono avere conseguenze negative in azienda
Promuovere vere e proprie diete dimagranti non rientra (ancora) tra i benefit aziendali più comuni in Italia. Ma parlare di alimentazione in azienda è una cosa importante, e se le persone intraprendono delle diete dimagranti questo può avere delle conseguenze anche per l’azienda. Il problema, anche qui, non riguarda tanto il grado di successo delle diete, quanto i loro possibili effetti collaterali a livello psicologico. È a questo livello che le attività “well-being” possono ritorcersi contro l’azienda.
Alcuni studi[note]Si vedano ad esempio due tra gli studi maggiormente citati al riguardo: 1) Stewart T et al. 2002. Rigid vs. flexible dieting: association with eating disorder symptoms in nonobese women. Appetite 38: 39–44. Westenhoefer J et al. 2013 e 2) Cognitive and weight-related correlates of flexible and rigid restrained eating behaviour. Eating Behaviors 14: 69–72.[/note] che si sono occupati di valutare l’impatto delle diete rigide (menu dettagliato di settimana in settimana e alcuni alimenti vietati) e di quelle flessibili (soglia di calorie definita ma grande libertà nella scelta degli alimenti) hanno sottolineato che più la dieta è rigida e maggiori sono le probabilità che la persona sviluppi disturbi alimentari – come ad esempio le abbuffate incontrollate – o psicologici, come stati depressivi o ansiosi, o come l’ortoressia, una sindrome nervosa per cui si è ossessionati dalla qualità del cibo o dai suoi valori nutrizionali.
I benefit aziendali che un’azienda dovrebbe dare in campo well-being: fornire alle persone la possibilità di accumulare conoscenze ed esperienze tali da permettere loro di sviluppare una propria autonomia di giudizio su tutto quel che riguarda l’alimentazione e il benessere.
Se ci limitiamo all’alimentazione, stiamo parlando di sviluppare una consapevolezza alimentare.
La consapevolezza alimentare. Un benefit lungimirante
Cosa vuol dire consapevolezza alimentare in azienda? Vuol dire essere guidati da professionisti competenti in ambito tecnico-scientifico con una passione olistica per le connessioni tra alimentazione e corpo anche al di là dell’estetica e delle più note patologie. Professionisti che siano aperti e non giudicanti nei confronti delle diversità nell’alimentazione, che sappiano che la qualità del tempo dedicato a nutrirsi (mai mentre si lavora, ritagliamo sempre un momento “sacro” per il cibo!) è altrettanto importante degli indici biometrici e delle tabelle nutrizionali…
Consapevolezza alimentare significa anche riappropriarci di quella capacità istintuale che ci consente di riconoscere ciò che fa bene al nostro corpo da quello che invece il nostro corpo eviterebbe….come? Attraverso l’ascolto di quei segnali che il corpo ci invia quotidianamente. Ma bisogna imparare ad ascoltarsi, in questo mondo così chiassoso.
Senza poi dimenticare la piacevolezza degli incontri, la costruzione di relazioni, la crescita del team. Tutto questo concorre a dare alle persone occasioni per la propria crescita personale – anche questo un trend dei benefit aziendali secondo Sodexo.[note]Sodexo Italia. 2017. Qualità della Vita in Azienda, Motivazione e Welfare: gli elementi chiave del futuro di una PMI Italiana. E-book gratuito.[/note]
Il benefit del domani ruota intorno alle opportunità di creare consapevolezza, anche alimentare, tra i lavoratori.
Se vuoi saperne di più su come la consapevolezza alimentare trovi posto nei percorsi formativi di Eukinetica non hai che da scriverci!
Pierpaolo Di Carlo
Ricerca & Sviluppo Eukinetica
pierpaolo.dicarlo@eukinetica.it
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Bibliografia:
Bould H et al. 2018. Effects of exposure to bodies of different sizes on perception of and satisfaction with own body size: two randomized studies. R. Soc. open sci. 5: 171387. http://dx.doi.org/10.1098/rsos.171387
Cederström C, Spicer A. 2015. The wellness syndrome. Londra: Polity Press.
Sodexo Italia. 2017. Qualità della Vita in Azienda, Motivazione e Welfare: gli elementi chiave del futuro di una PMI Italiana. E-book gratuito.
Matteke S, Liu H, Caloyeras J, et al. 2013. Workplace Wellness Programs Study: Final Report. Santa Monica, CA: RAND.
Stewart T et al. 2002. Rigid vs. flexible dieting: association with eating disorder symptoms in nonobese women. Appetite 38: 39–44.
Westenhoefer J et al. 1999. Validation of the Flexible and Rigid Control Dimensions of Dietary Restraint. Int. J. of Eating Disorders 26: 53–64.
Westenhoefer J et al. 2013. Cognitive and weight-related correlates of flexible and rigid restrained eating behaviour. Eating Behaviors 14: 69–72.
Wilson C 2002. Reasons for eating: personal experiences in nutrition and anthropology. Appetite 38: 63–67.
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Credits
Photo by Charles Deluvio on Unsplash.com. Drawing by Hanna Barczyk.
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