Nuoto, bici e corsa combinazione perfetta: l’attività di endurance per il benessere psico-fisico

5 Lug 2021

Tempo di lettura: 9 minuti

Nuoto, bici e corsa combinazione perfetta: l’attività di endurance per il benessere psico-fisico

È noto che praticare attività fisica fa bene alla salute. Secondo l’OMS una persona adulta dovrebbe praticare attività fisica per almeno 150 minuti alla settimana. Ritengo che questa indicazione sia assolutamente obsoleta, in quanto definita in un momento storico in cui l’essere umano si avvaleva già, per gli spostamenti, di mezzi di locomozione meccanici e oggi ulteriormente superata dalle nuove abitudini sociali quali l’utilizzo massiccio di computer, telefoni cellulari, tablet, sia per lavoro che per scopi ricreativi. 

La sedentarietà ha favorito la nascita di nuove malattie fra cui la più caratteristica è l’ipocinesi, cioè uno scadimento corporeo generale dovuto alla mancanza di movimento. Questa situazione comporta una riduzione di funzionalità di diversi apparati, i quali per funzionare correttamente hanno bisogno di stimoli che solo l’attività dinamica è in grado di dare.

Tutti i bambini, se lasciati liberi di esprimere il loro potenziale genetico attraverso il gioco, sono dei piccoli atleti: sono ottimi corridori, si arrampicano, si accovacciano, saltano, lanciano oggetti, nuotano, vanno in bicicletta. Poi però accade qualcosa: la condizione culturale, gli impegni scolastici prima e lavorativi poi, le restrizioni sociali e familiari non premiano queste pratiche che, se non coltivate autonomamente, vanno perdute. In definitiva si è sempre più connessi ma ci si muove sempre meno e se ciò da un lato ha aumentato le opportunità, da un altro sta creando tutta una serie di problemi soprattutto psico-fisici. 

La mancanza di movimento determina modificazioni negative delle funzioni corporee che in tal modo non sono più in grado di mantenere un adeguato livello di prestazione. La sedentarietà, però, non è soltanto muoversi poco e privilegiare lo star fermi, ma si rivela anche in tutti quegli atteggiamenti quotidiani che limitano quel poco di movimento che la nostra organizzazione di vita attuale ci consente. 

Alcuni esempi di come le scelte di comportamento determinano un’ulteriore riduzione di movimento, quali frutto di un atteggiamento mentale della persona, possono essere utilizzare l’ascensore per fare pochi piani di scale, prendere l’autobus per fare una fermata, usare l’automobile per percorrere brevi tratti di strada. La scarsa e progressiva abitudine al movimento fa si che la persona trovi faticoso farne anche pochissimo e tende gradualmente ad escluderlo dalla propria vita, creando condizioni negative e pericolose per la propria salute. 

Con l’invecchiamento poi la fisiologia dell’organismo tende a deteriorarsi. Metabolismo, sistema cardiocircolatorio, respiratorio e neuromuscolare diminuiscono le loro prestazioni a un ritmo sempre maggiore.

Paradossalmente però quando una persona invecchia tende a fare l’opposto di quel che sarebbe sensato: adotta uno stile di vita sempre più sedentario. Senza qualche tipo di attività fisica si registra, con l’aumentare dell’età, una ridotta aspettativa di vita ed un rischio maggiore di mortalità.

L’OMS definisce la salute come: “Uno stato di benessere ed equilibrio psico-fisico e non la mera assenza di malattia”.

A mio parere tutti coloro i quali si esercitano in attività fisiche, dall’atleta agonista al praticante “della domenica” dovrebbero avere un obiettivo in comune: migliorare il proprio stato di salute. 

Uno dei docenti durante il mio percorso di studi all’ISEF era solito citare una sua massima: “Lo sport fa bene a chi non lo fa”.

La sua era ovviamente una provocazione dettata dal fatto che molto spesso gli atleti agonisti si allenano troppo o in modo scorretto, mentre gli amatori il più delle volte si improvvisano e volendo emulare i professionisti di una certa disciplina intraprendono tabelle di allenamento e carichi di lavoro non adeguati alla loro preparazione ed età. 

Normalmente il risultato di un tale approccio è di ottenere dei discreti miglioramenti nell’immediato, dovuti alla somministrazione di nuovi stimoli al corpo, ma, nel lungo periodo, di entrare in sovrallenamento con il rischio (o la certezza) di soffrire di stanchezza cronica, dolori muscolari e articolari, alterazione dei ritmi circadiani, fino ad infortunarsi. 

Ovviamente l’altra faccia della medaglia è rappresentato da quella parte della popolazione che non svolge neppure la quota minima di attività fisica suggerita dall’OMS, ovvero i già citati 150 minuti settimanali, con tutte le implicazioni negative del caso.   

È scientificamente dimostrato che l’attività fisica contribuisce a prevenire diverse malattie tra cui diabete, patologie cardiovascolari, patologie muscolo-scheletriche e tumori. L’attività fisica inoltre, attraverso l’aumento della produzione di alcuni ormoni tra i quali le endorfine, favorisce anche il benessere psico-fisico.

I benefici risultano incrementati, se l’esercizio fisico viene svolto all’aria aperta, grazie all’esposizione alla luce solare, al contatto con elementi naturali e ad una migliore qualità dell’aria respirata. 

Sono innumerevoli le attività che si possono svolgere all’aperto, soprattutto durante la “bella stagione”, ma per questo articolo ne abbiamo selezionate tre che non dovrebbero assolutamente mancare nella “dieta motoria” di ciascun individuo:  il nuoto, la bici e la corsa.

Ognuna di queste tre attività fisiche è unica nel modo in cui può migliorare vari aspetti della salute. Infatti le modalità con le quali il corpo impegna i muscoli e consuma ossigeno per produrre energia, sono differenti per ciascuna di esse. Il nuoto, la bici e la corsa possono essere inquadrate nelle attività così dette di resistenza.   

La resistenza è una capacità condizionale (le altre sono la forza, la velocità e la mobilità articolare) che si sviluppa progressivamente fino ai 15-16 anni e raggiunge il suo acme verso i 18 anni. In seguito il livello di resistenza che una persona è in grado di mantenere è strettamente dipendente dall’allenamento che sostiene in forma regolare e senza il quale registra un grosso calo. La resistenza però è una qualità facilmente allenabile e quindi non è impossibile recuperare il terreno perduto, a patto che la persona lo desideri e si adoperi in tal senso.

La riduzione di movimento della nostra epoca, non deve far dimenticare che la resistenza è una qualità muscolare di particolare importanza per superare le situazioni di affaticamento che giornalmente devono essere affrontate. La buona funzionalità degli apparati respiratorio, cardiaco, circolatorio e muscolare, non si limita a manifestarsi solo nell’azione dinamica, ma anche nella gestione di tutte le altre funzioni, soprattutto viscerali. 

Un buon apporto di ossigeno, inoltre, non è utile solo per l’attività motoria, ma per ogni altra funzione in cui l’ossigeno è necessario. Ciò favorisce uno stato di benessere generale che si riflette su tutta la vita dell’individuo, anche a livello emotivo e relazionale. Sentire il proprio corpo in grado di affrontare situazioni faticose per tempi lunghi sopportando facilmente la fatica genera ottimismo e maggiore sicurezza di sé.

Nello specifico l’allenamento di Resistenza comporta degli effetti sul corpo di notevole importanza ed interesse:

  1. Aumenta la concentrazione di emoglobina, componente del sangue destinata all’ossigenazione dei muscoli.
  2. Aumenta i depositi energetici, permettendo un’azione muscolare di maggior durata.
  3. Aumenta il diametro delle fibre muscolari, soprattutto quelle lente, responsabili dei lavori di lunga durata.
  4. Si verifica un’ipertrofia del muscolo cardiaco. In tal modo il cuore può pompare ad ogni contrazione una maggior quantità di sangue
  5. Come conseguenza diminuisce la frequenza cardiaca a riposo e migliora l’efficienza della pompa cardiaca. 

La prima attività che voglio citare è senz’altro la corsa, per il semplice motivo che lo spostamento sulle gambe è la forma di locomozione propria dell’essere umano. C’è infatti una stretta correlazione tra la nostra evoluzione e l’uso della corsa di persistenza utilizzata ai fini della caccia e quindi in ultima analisi alla sussistenza. 

La natura ci ha plasmati e resi altamente resistenti. Immaginate un gruppo di maratoneti che insegue una preda per chilometri e chilometri senza sosta. La preda, veloce ma poco resistente, deve ogni tanto fermarsi per rifiatare e per raffreddarsi dal calore accumulato, mentre invece i maratoneti grazie al loro sistema di raffreddamento dotato di milioni di ghiandole sudoripare, possono proseguire e sopraffare la preda ormai esausta. 

Nella società odierna gli scenari sono completamente cambiati e causano sostanzialmente 2 gravi problemi:

  1. la disponibilità di cibo pressochè illimitata non pone l’esigenza di doversi muovere per poterne disporre. Inoltre come già accennato la locomozione avviene di norma attraverso mezzi meccanici.
  2. In conseguenza di ciò i corpi possono perdere le abilità motorie che dovrebbero caratterizzarli, con una riduzione delle performance ed elevato rischio di infortuni legati alla corsa.

È fondamentale quindi lavorare su due aspetti:

  1. Reimparare ad utilizzare in modo naturale il corpo ripristinando la capacità di correre con la giusta tecnica.
  2. Liberare il corpo da tutte quelle tensioni che la vita moderna impone e che sono legate alla cattiva alimentazione, allo stress, alle posture viziate da lavoro, ai piccoli o grandi traumi subiti, al fine di permettergli di utilizzare la corsa come forma di locomozione senza il rischio di infortunarsi.

Dobbiamo comprendere che lavorare solo sulla tecnica della corsa può non essere sufficiente, in quanto il corpo di un maschio adulto “occidentalizzato” che non abbia mantenuto nel tempo tutte le qualità motorie proprie della specie umana, inevitabilmente presenta tensioni e rigidità muscolo-articolari che non permettono al gesto motorio di essere fluido come dovrebbe.

Veniamo all’attività natatoria. Il nuoto compare come forma di “attività fisica” fin dalle prime civiltà umane e secondo alcuni autori c’è una seria possibilità che i nostri antenati abbiano attraversato uno stadio acquatico, nel loro sviluppo, in un periodo compreso tra i quattro e i sette milioni di anni fa, il che spiegherebbe molte delle nostre singolari caratteristiche. Ad esempio se tenuto con delicatezza, anche un neonato è in grado di nuotare senza addestramento.

Si sente spesso dire che “ Il nuoto è lo sport più completo”. Lungi dal sapere di chi sia la paternità di tale affermazione,  permettetemi di dissentire, con tutto il rispetto di chi frequenta attivamente la piscina tre volte la settimana. Il nuoto, come tutte le attività motorie, presenta alcuni punti di forza, ma non rappresenta la panacea di tutti i mali. 

Quali sono allora i reali benefici del nuoto rispetto ad altre attività fisiche? Sappiamo che l’esercizio fisico ha un notevole impatto sul corpo. Attività che includono salti o corsa mettono sotto carico e stress le articolazioni e i muscoli, esponendoli, nel caso di eccessiva o scorretta attività, al rischio di infortunio e dolori cronici.

In più chi è sovrappeso, incinta o ha già avuto infortuni ai muscoli o alle articolazioni, può trovarsi in difficoltà nel praticare la maggior parte degli sport. Nel running, ad esempio, la pressione dell’impatto costante dei piedi al suolo viene assorbita dai muscoli, in particolare delle gambe e della schiena. Se questo da un lato genera un effetto vibratorio che stimola in modo benefico muscoli ed ossa, dall’altro può generare, in alcuni soggetti, problematiche algico-infiammatorie.

Nel nuoto non c’è impatto. L’effetto di galleggiamento scarica i corpi dal loro peso. Si previene così il carico eccessivo su muscoli e articolazioni. Se un individuo nuota alla giusta intensità e con una buona tecnica può evitare gli effetti dannosi di un allenamento sportivo “terrestre” ottenendone, per contro, innumerevoli benefici.

L’attività ciclistica, rispetto alla corsa e al nuoto, è la sola che si avvale, per lo spostamento da un punto ad un altro, di un mezzo meccanico, la bicicletta. Ovviamente risulta fondamentale sceglierne una della taglia giusta e adattare tutti i parametri alle proprie caratteristiche morfologiche, meglio se attraverso una analisi biomeccanica, rivolgendosi ad uno specialista del settore. 

Non è raro infatti imbattersi in ciclisti “della domenica” con posture quantomeno improbabili, (taglia della bici, altezza o avanzamento del sellino, altezza del manubrio, posizione del piede sul pedale scorretti), con riduzione dell’efficienza della pedalata ed elevato rischio di infortunio.

Oltre al posizionamento, anche una pedalata intelligente permette effetti ottimali di allenamento e minimo stress meccanico alle parte vulnerabili del corpo. Un movimento fluido e sincronizzato dei piedi e delle gambe, con un efficace andamento circolare, permette di seguire la rotazione dei pedali erogando la forza propulsiva in tutte le fasi della pedalata. 

Altro aspetto che contribuisce alla corretta pedalata è l’equa propulsione di entrambe gli arti inferiori. Molte persone hanno una spiccata dominanza di una gamba e questo può essere dovuto ad un’asimmetria  nell’allenamento, a differenze strutturali per esempio di lunghezza delle gambe o  precedenti infortuni. 

Diversamente dalla corsa, il ciclismo è uno sport a basso impatto: pedalando, vengono esercitate  pressioni più ridotte sulle articolazioni.

Inoltre pedalare fa bene alla zona pelvica e agli arti inferiori perché attraverso la pompa muscolare delle gambe viene attivata e quindi migliorata la circolazione venosa.

La bicicletta è un mezzo di trasporto molto amato per diversi motivi: oltre a far bene alla salute, ha costi molto bassi, è divertente, libera la città da auto e inquinamento abbassa lo stress e, come attestato da innumerevoli studi, riduce i fenomeni  depressivi.

Per concludere possiamo affermare con certezza che ciascuna delle tre attività analizzate, corsa, nuoto e bici, permette di allenare numerose capacità ma ne trascura altre, quindi possono integrarsi se svolte tutte. Variare le attività permette di evitare, oltre alla noia, i “plateau stagnanti”, che sono condizioni fisiche in cui il corpo non migliora a causa della monotonia dello stimolo allenante. 

Un altro aspetto da sottolineare è che l’allenamento di resistenza rappresenta un ottimo stimolo ma non è sufficiente a dare al corpo tutti gli ingredienti di cui ha bisogno. 

Infatti dopo i 30 anni di età, compare un fenomeno degenerativo del muscolo detto sarcopenia, che per essere contrastato efficacemente necessita del rinforzo dei muscoli. L’allenamento della forza risulta quindi altrettanto importante, in particolare nell’area del “core addominale”, per migliorare le performance, ritardare l’affaticamento e ridurre l’incidenza degli infortuni. 

Anche l’allenamento della mobilità articolare, altra capacità condizionale essenziale, non dovrebbe essere trascurata. Riflettiamo: con l’età la tendenza è quella di diventare sempre più rigidi, fino all’alterazione della postura e alla perdita di funzione dei vari distretti corporei. 

Solo un corpo estremamente elastico e plastico è in grado di svolgere al meglio le funzioni richieste siano esse sociali, lavorative o sportive.

Vorrei chiudere con un’ultima considerazione: l’attività motoria deve essere anche e soprattutto divertente. Spesso chi si allena lo fa in modo ossessivo-compulsivo o al contrario lo vive come un castigo. 

È quindi fondamentale imparare ad ascoltare il proprio corpo e beneficiare di tutte le sensazioni che questo ci invia con quel meraviglioso circuito di feedback del quale dispone. Immergersi nella natura e correre in un prato o in un bosco, scalare in bici una collina o nuotare nelle acque limpide di un lago, sono esperienze non solo fisiche ma anche e soprattutto sensoriali.  

Scritto da Prof. Massimiliano Foscarini
Trainer Certificato Eukinetica / Massofisioterapista, Posturologo, Diplomato ISEF


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